Villaggio Nuragico

Villaggio Nuragico

La presenza dell’uomo in Sardegna è attestata già nel Paleolitico Antico

(500.000 – 150.000 anni fa).
Ma il segno distintivo della nostra terra, che ne ha caratterizzato il paesaggio in epoca antica e ancora oggi, è dato dalla presenza delle costruzioni megalitiche: i nuraghi. Mentre l’epoca intera viene definita, a ragione, civiltà nuragica.

Torri, con volta, coperte da false cupole (tholoi); dapprima costruzioni semplici e poi sempre più complesse ed evolute e formate da giri concentrici di pietre

tenute assieme senza bisogno di malta cementizia, e che si restringono man mano che si elevano in altezza.

La funzione del nuraghe era senz’altro quella di torre di avvistamento e di controllo ma anche abitazione del capo, di chi aveva supremazia su altri individui che, per contro, abitavano in capanne non altrettanto sicure e fortificate e che provvedevano alle necessità della piccola comunità.
E di queste costruzioni, equamente distribuite in tutta l’isola, così inscindibilmente legate al nostro patrimonio artistico e culturale se ne contano a tutt’oggi circa settemila. Molto dovrà ancora essere scoperto e scritto e molti sono gli interrogativi, spesso senza risposta. L’artista Gianni Argiolas è riuscito ancora una volta a stupire per il suo particolare e inconfondibile modo di “usare l’arte” con la realizzazione del villaggio di Isca sa Folla. Entrare, materialmente, all’interno del sito nuragico che ha realizzato nel parco artistico di Isca sa folla, è come andare a ritroso nel tempo e scoprire una dimensione di vita lontana ma che sentiamo molto nostra, che ci appartiene, una sorta di guscio dentro il quale trovare riparo; è come tornare “al conosciuto” a quello che è stato prima di noi, un ricordo ancestrale, che si manifesta e ritroviamo nelle sensazioni e nell’emozione che ci provoca.

E, come per uno strano incantesimo, la vita frenetica, i rumori che giungono dalla strada, tutto sembra fermarsi per lasciare spazio alla laboriosità di un’intera comunità che si muove, lavora, legifera, prepara i pasti, rende omaggio alle proprie divinità e ai propri morti. Le sculture quasi tutte a grandezza naturale, come le altre presenti nel parco, sono state realizzate dall’artista pensando ad un ipotetico villaggio in uno qualunque dei nostri paesi e le figure rappresentate sono frutto della elaborazione concettuale del maestro che è riuscito a plasmare le sue opere dando un’anima a ciascun personaggio rappresentato.

Quasi un anno di intenso lavoro per il maestro, esattamente dieci mesi e quindici giorni, coadiuvato da alcuni collaboratori dello studio d’arte che per brevità chiameremo “gruppo parco”.

30 sculture a rappresentare i ruoli sociali dei componenti il villaggio; strutture per il culto, per la vita politica e per quella domestica; 15 armi a grandezza naturale, 17 animali e 41 riproduzioni della ceramica vascolare sono frutto della grande capacità artistica del maestro unita ad una scrupolosa ricerca storica. L’arredo verde dello spazio interno e del perimetro esterno che delimita il sito nuragico, fatta eccezione per i pini già presenti nel parco, è l’omaggio dei vivai di Antonello Cannavera; 120 piantine tra cui olivastri, lecci, corbezzoli, lentisco, ginestre, alloro, mirto e cipressi.

l villaggio nuragico del parco artistico di Isca sa folla è stato pensato come un luogo vivo dove si costruisce, si produce, si legifera, si cucina si va a caccia, si gioca, si adora il proprio dio, si lotta e si muore.

Ad accoglierci, all’ingresso, un pastore con il suo gregge.  Subito il nostro sguardo è attirato dalle fasi iniziali di costruzione di un nuraghe con alcuni operai che, a fatica, sistemano dei grossi massi sotto lo sguardo severo di un capo tribù che dà indicazioni alle maestranze. Ancora qualche passo e su una pertica, appesa ad asciugare, una grossa pelle mentre un gallo, a testa in giù, è in attesa di essere cucinato.

Una capanna abitativa, di forma circolare con il tetto ricoperto di frasche, è una efficiente cucina. Al centro un fuoco su cui è stata sistemata una grande pentola. All’interno la figura di una mamma con il suo bambino e attorno ancora brocche, tazze, olle, tripodi e quant’altro necessita per la preparazione dei cibi. Infine, arrotolata, una stuoia è pronta per il riposo notturno.

Proprio fuori dalla capanna una madre allatta il suo bimbo mentre un altro bambino, già grandicello, suona un sulitu di canna, sotto lo sguardo attento di un curioso cagnolino. Il suonatore di sulitu è l’unica figura alla quale abbiamo voluto dare un nome: è Norace, piccolo eroe da cui forse discendiamo.

Nella piazza del villaggio due lottatori si affrontano a mani nude e su una pertica un ricco inventario di armi e corazze, curate nei dettagli servono a dare conto della varietà e della particolarità delle armi in uso e documentate dai ritrovamenti archeologici.

Incuriositi dalla lotta un fenicio dal corpo possente e un nuragico intenti a siglare un contratto, in considerazione dei forti scambi commerciali che, presumibilmente, gli antichi abitanti della Sardegna erano soliti fare. Nella capanna delle riunioni i saggi del villaggio sono intenti a discutere ma anche ad assaporare i cibi che una figura femminile, dalle sembianze micenee, offre loro. Tre guerrieri armati, preposti alla sorveglianza, vigilano attorno alla capanna. A definire il passaggio tra la parte politica e la parte religiosa del villaggio una vecchia scalza che vende i suoi manufatti: brocche votive e per uso domestico.

Ancora una figura maschile e una pertica con un cervo scuoiato la cui testa, sormontata da grosse corna, é stata poggiata su un tavolo, forse come sacrificio da offrire alla divinità. Un offerente a cavallo di un bue, sul modello del bronzetto proveniente dal nuraghe di Ocru, a Nulvi, porta la sua offerta al tempio.  L’offerente calza sandali e questo ne fa, assieme al possesso del grosso animale, una persona con buone possibilità economiche.

Un sacerdote solleva in alto la sua spada dinanzi al pozzo sacro dove si erge una pietra che la natura ha modellato quasi fosse una dea madre mediterranea ma a noi piace anche pensare che antiche genti l’abbiano adorata e sia giunta indenne fino a noi.

Una sacerdotessa prega davanti al tempio; è una figura elegante e il vestiario (la doppia tunica e il mantello con frange) denota la sua appartenenza a un ceto sociale elevato. All’interno del tempio, realizzato in pietra e con tetto coperto di frasche così come la capanna abitativa e quella delle riunioni, troviamo una protome taurina, uno scrigno in bronzo con ruote e vasi askoidi che ornano le nicchie.

Tra il pozzo sacro e il tempio, l’artista ha scolpito la figura di un cacciatore nell’atto di scagliare la sua freccia, che, con mira infallibile, colpisce un cinghiale fermato anche da un solerte cane.

Argiolas ha poi realizzato un altare sacrificale, ispirato all’altare votivo scoperto 1992 all’interno del protonuraghe “Su Molinu” di Villanovafranca, dove venivano offerte le spade alla divinità prima di una battaglia o, come ringraziamento, al termine della stessa. Su un muretto la riproduzione, ingigantita, del bronzetto quattro occhi, forse uno dei più conosciuti tra le pregevoli statuine votive di età nuragica. Il culto dei morti è rappresentato da una tomba dei giganti e da offerte di cibo per il lungo viaggio del non ritorno. Uno sguardo al grifone che con le ali spiegate ghermisce la sua preda e il villaggio nuragico di Isca sa folla è nei nostri occhi e nella nostra mente. Tutto è così vivo: capi tribù, soldati, pastori e cacciatori, offerenti, sacerdoti e sacerdotesse, vecchie, madri e bambini e ancora oggetti per la vita domestica e per il culto e animali, pecore, cani, buoi, cervi, cinghiali e l’imponente grifone.

Era questa l’organizzazione sociale dei nostri antenati? Di certo è una bella pagina di storia interpretata e raccontata da un artista di grande levatura.